quinta-feira, 16 de setembro de 2010

Quei farmaci millenari nel relitto erano cure per greci e romani

Ricercatori americani hanno analizzato delle pastiglie rinvenute a bordo del vascello di Pozzino, in Toscana. Risalenti al 140-120 a. C., rappresentano le prime prove empiriche dei composti con cui si curavano gli antichi

di Giulia Belardelli

CAROTA, ravanello e sedano, ma anche ibisco, erba medica e Achillea millefoglie. Sono solo alcuni dei reperti trovati vent'anni fa in fondo al mare della Toscana sotto forma di pastiglie, e ora passati al setaccio dai ricercatori della Smithsonian Institution e dell'Institute for the Preservation of Medical Traditions di Washington DC. A ospitare le medicine per più di ventuno secoli è stato un vascello di pino, quercia e noce affondato al largo del Golfo di Baratti attorno al 140-120 avanti Cristo. Il suo rinvenimento fece la gioia di scienziati e botanici appassionati ai segreti della medicina antica: dentro, insieme a vetri, ceramiche e anfore colorate, c'era una cassetta contenente un rifornimento di pasticche quasi intatte. Le sostanze, simili a quelle descritte da medici e farmacisti come Dioscoride e Galeno, sono considerate la prima prova empirica dei composti curativi utilizzati nell'Antica Grecia e poi a Roma.

Il "tesoro" del Pozzino. A individuare il relitto nel Golfo di Baratti fu il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina di Albenga, nel 1974. Una prima spedizione organizzata dalla Sovraintendenza Archeologica della Toscana, in collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, portò alla luce due strumenti che parlavano chiaro sulla presenza di un medico a bordo: un uncino utilizzato a scopi chirurgici e una ventosa per il sangue. Fu nel 1989, però, che gli archeologi incapparono nel corrispettivo di una cassetta del dottore ante litteram: 136 fiale di legno e scatolette di pastiglie. A più di vent'anni dal ritrovamento, oggi quelle pasticche sono state studiate dal punto di vista della genetica. I risultati della ricerca, condotta da Alain Touwaide, storico delle scienze presso il National Museum of Natural History e direttore scientifico dell'Institute for the Preservation of Medical Traditions, sono stati presentati al Quarto Simposio Internazionale di Archeologia Biomolecolare di Copenhagen. Gli altri reperti sono custoditi in un acquario nel Museo Archeologico di Piombino, ancora immersi in quello che ormai è diventato il loro elemento naturale.
Dai fondali al laboratorio. Le analisi del Dna su queste medicine millenarie hanno riscontrato la presenza di diversi tipi di piante, dalla cipolla selvatica al cavolo, dalla quercia al girasole. Robert Fleischer, direttore dello Smithsonian Conservation Biology Institute presso il National Zoological Park di Washington, ha confrontato alcuni frammenti con le sequenze del database dei geni gestito dai National Institutes of Health. "In ogni pastiglia abbiamo trovato almeno dieci piante", ha spiegato Fleischer a Repubblica. it. "Alcuni estratti sembrano essere più comuni di altri, come l'alfa alfa, la carota, la cipolla e la noce. Altri corrispondono a biancospino, Achillea millefolium, Canavalia ensiformis e ibisco, probabilmente importato dall'est dell'Asia o dalle odierne India ed Etiopia. "In molti casi - ha aggiunto il ricercatore - si tratta di sostanze le cui proprietà benefiche sono elencate nei libri chiave della medicina antica".

Sulle tracce dell'arte medica. Dioscoride, ad esempio, medico, botanico e farmacista greco, descriveva la carota come panacea a una serie di mali, dal morso dei rettili ai problemi di contraccezione. La sua opera in cinque libri, De Materia Medica, è considerata il primo erbario della medicina occidentale. Il lavoro venne copiato verso il 512 d. C. per la principessa bizantina Giuliana Anicia, che gli assicurò così lunga vita presso la comunità scientifica. Tra le piante descritte nel De Materia Medica e ritrovati sul relitto del Pozzino c'è anche l'Achillea millefolium, il cui nome viene dalla leggenda secondo cui fu proprio la foglia di questa pianta a guarire il piede del prode Achille. In linea con il mito, sia Dioscoride che Galeno la raccomandavano come emostatico, ossia sostanza capace di arrestare le perdite di sangue. Da qui deriverebbe la sua denominazione popolare di "erba dei tagli".

L'incognita del girasole. In questa vicenda a metà strada tra scienza, mito e avventura, c'è posto anche per alcune speculazioni sulla storia della botanica. Dai primi rilevamenti, infatti, sembra che le pastiglie contengano delle tracce di girasole, una pianta la cui comparsa in Europa viene di solito fatta risalire a dopo la scoperta delle Americhe. "Si potrebbe trattare di una contaminazione avvenuta nella fase di prelievo o in laboratorio", ha spiegato Fleischer. "In caso contrario, potremmo essere di fronte a un elemento in grado di rivoluzionare la storia tradizionale di queste piante e della loro diffusione nel mondo", ha aggiunto Touwaide.

Tra passato e futuro. Lo studio sulle pastiglie del Pozzino rappresenta un caso affascinante di contatto tra la medicina antica e la scienza più moderna. Per rilevare la composizione delle pastiglie, gli scienziati si sono avvalsi di diverse tecniche di biologia molecolare, focalizzandosi in particolare sul Dna contenuto nei cloroplasti. "E' stato grazie a metodi di sequenziamento all'avanguardia che siamo riusciti a identificare le piante da cui provengono gli estratti meno abbondanti", ha precisato Fleischer.

Ma il ruolo del relitto dei farmacisti non è finito qui: nei prossimi mesi i ricercatori americani continueranno ad analizzare le pastiglie nella speranza di scoprire la teriaca, una medicina descritta da Galeno che dovrebbe contenere più di 80 estratti diversi. "Conoscere dosi, quantità e sistemi di misurazione utilizzati nell'antichità è interessante non solo dal punto di vista storico e antropologico", ha commentato Touwaide. L'idea è custodita nel motto dell'Institute for the Preservation of Medical Traditions: ispirare l'innovazione a partire dalla tradizione, nella speranza di individuare nuove possibilità per la ricerca sui farmaci. "E' la prima volta che abbiamo tra le mani medicine così antiche. Finora le nostre conoscenze si limitavano ai libri. E' possibile che questi composti millenari siano in grado di sorprenderci ancora, magari aprendo nuovi percorsi per la ricerca farmacologica".

 
(foto Enrico Ciabatti 1)
http://www.repubblica.it/

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