Cittadinanza per via materna. Porta e Bucchino: il Governo passi dalle parole ai fatti

Il sottosegretario Laura Ravetto, ha risposto ai deputati del PD, come il Governo intendesse procedere sulla facoltà della donna di trasmettere la cittadinanza .Foto divulgação

Nella seduta d'ieri (20), alla Camera, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Laura Ravetto, ha risposto all’interrogazione che vede come primo firmatario Gino Bucchino (PD) e sottoscritta da numerosi altri colleghi, tra cui gli eletti all’estero, come Fabio Porta, presentata per sapere se e come il Governo intendesse procedere per attuare quanto disposto dalla sentenza della Cassazione del febbraio 2009 sulla facoltà della donna di trasmettere la cittadinanza ai propri figli anche se l’aveva perduta per il matrimonio con uno straniero (vedi Aise del 5 maggio h.18.47).
"Il Governo – ha sostenuto Ravetto – ha sviluppato ogni possibile approfondimento per poter applicare, anche in via amministrativa, quanto stabilito dalla Corte di cassazione, con la citata sentenza, per ciò che riguarda il riconoscimento in sede giudiziale dello status di cittadino italiano alle donne che si trovano nella condizione citata. L'esame a tal fine avviato, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, ha fatto emergere alcuni limiti procedimentali imposti dalla legislazione vigente, dovuti alla necessità di acquisire la dichiarazione di volontà delle donne interessate, secondo quanto stabilito dall'articolo 219 della legge n. 151 del 1975, espressamente richiamato al secondo comma dell'articolo 17 della legge n. 91 del 1992".
"Inoltre, la disposizione dell'articolo 15 della medesima legge n. 91 del 1992 - cui fa riferimento anche la sentenza della Corte di cassazione - stabilisce che l'acquisto o il riacquisto della cittadinanza può avere effetto solo dal giorno successivo a quello in cui si sono realizzate le condizioni richieste dalla legge. Infine, ulteriore vincolo procedimentale - per l'applicazione in via amministrativa del principio stabilito dalla suddetta giurisprudenza costituzionale e di legittimità - deriva dal disposto dell'articolo 14 della già citata legge n. 91 del 1992, che stabilisce che solo i figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza, se conviventi, acquistano automaticamente lo status civitatis. Pertanto – ha spiegato il sottosegretario – acquisita la consapevolezza della necessità di un'iniziativa di carattere legislativo, finalizzata alla soluzione del problema, Viminale e Farnesina avevano avviato un'ipotesi di intervento normativo volto, tra l'altro, a sopprimere innanzitutto il termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione di riacquisto della cittadinanza, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 91 del 1992, e a riconoscerne il possesso ininterrotto per la donna che l'aveva persa dopo il 1o gennaio 1948, per effetto del matrimonio contratto con un cittadino straniero, ed ai suoi discendenti in linea retta.
Nella proposta si prevedeva, inoltre, la possibilità di presentare istanza di riconoscimento per nascita solo per i figli e i discendenti in linea retta non oltre il secondo grado del genitore o dell'avo dei quali è documentata la cittadinanza italiana. La proposta era stata presentata, su iniziativa del Mae, in sede di predisposizione dello schema del decreto-legge n. 194 del 30 dicembre 2009, recante "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative". In tale circostanza, per motivi esclusivamente tecnici, l'iniziativa non ha avuto buon fine poiché non era possibile recepirla nel testo del provvedimento".
"Consapevole dell'importanza e della delicatezza delle aspettative di tanti connazionali di vedersi riconosciuto il legale mai interrotto con il loro Paese di origine – ha concluso Ravetto – il Governo intende adottare un ulteriore, specifico intervento normativo che riproponga quello non accolto in precedenza. Al riguardo, sono in corso le concertazioni con gli altri ministeri interessati, al fine della presentazione di uno specifico emendamento all'atto Camera n. 3443, riguardante la conversione del decreto-legge 28 aprile 2010, n. 63, recante "Disposizioni urgenti in tema di immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana e di elezioni degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero".
A commento della risposta, Bucchino e Porta sintetizzano "cinque cose di non poco peso" emerse dalle dichiarazioni del sottosegretario: "il pronunciamento della Suprema Corte è da condividere pienamente e deve essere applicato con convinzione; per poterne trasferire gli effetti sul piano amministrativo è necessaria una soluzione normativa che rimuova le remore procedurali (manifestazione di volontà da parte della donna) contenute in alcuni passaggi della legge n. 91 del 1992; i ministeri dell’Interno e degli Esteri avevano concordato una soluzione normativa che doveva essere inserita nel cosiddetto Decreto Mille Proroghe e che poi è rimasta per strada; ci si propone ora di inserirla nel decreto, alla Camera per la conversione, che sciaguratamente proroga - tra l’altro - di altri due anni la vita di COMITES e CGIE; la possibilità di presentare istanza di riconoscimento per nascita è limitata ai figli e ai discendenti in linea retta non oltre il secondo grado".
"La nostra risposta a questi punti – proseguono i due deputati – è altrettanto chiara: siamo contenti che il Governo apprezzi il pronunciamento della Cassazione, ma non comprendiamo bene perché abbia dovuto attendere le ripetute sollecitazioni dell’opposizione per affrontare la questione; si è perduto un anno per decidere che era necessaria una soluzione normativa, ma almeno alla fine si è fatta chiarezza; è ancora inspiegabile, se non per quella permanente sottovalutazione delle cose che riguardano gli italiani all’estero, perché questa soluzione non abbia trovato spazio nell’Arca di Noè del Milleproroghe, ma ora che cosa si aspetta? La legge di conversione del Decreto è stata licenziata ieri dalla Commissione Esteri senza che il Governo si sia fatto vivo su questo tema; la limitazione ai due gradi di ascendenza per il riconoscimento della cittadinanza per nascita è certamente un tema di cui si parla da tempo e che presto o tardi va affrontato, ma perché inserirlo surrettiziamente in una misura che dovrebbe avere la finalità di riconoscere finalmente annosi diritti e non di limitarli".
"Perché – si chiedono Porta e Bucchino – non affrontare seriamente questa questione insieme alle altre pendenti sulla cittadinanza degli italiani all’estero, ad iniziare dal recupero della cittadinanza da parte di coloro che, nati in Italia, l’hanno perduta per ragioni di lavoro in altri Paesi? E perché non iniziare a sgombrare le macerie lungo la strada risolvendo al più presto il cancrenoso problema delle centinaia di migliaia di domande in giacenza, in particolare in Brasile? In conclusione, mentre sollecitiamo il Governo a passare dalle parole ai fatti, secondo gli intendimenti autonomamente dichiarati in risposta alla nostra ulteriore sollecitazione, ci dichiariamo già da oggi pronti ad assumere anche direttamente le iniziative normative necessarie per dare finalmente soddisfazione a chi ne ha diritto".

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