Sarà una stagione d'oro per il tartufo bianco
Tartufi bianchi
C'è una regola non scritta che in questi giorni preoccupa chi è impegnato nella vendemmia e mette il sorriso a chi ha impugnato lo zappino: «Stagione buona per i tartufi, scarsa per le uve». Così, mentre i vignaioli sperano che il bel tempo li accompagni senza altre piogge che rischiano di mettere a repentaglio il raccolto, i cercatori delle pepite bianche che hanno iniziato a scavare le prime buche nei boschi del basso Piemonte si fregano le mani e dicono: «Se non vengono quest'anno, non vengono mai più».
In effetti, i presupposti per una buona stagione ci sono tutti. I «trifolao», che già in inverno e primavera avevano iniziato a essere ottimisti osservando la neve e la pioggia cadere dal cielo con un'abbondanza ormai inconsueta, non hanno perso la fiducia neppure a fine estate, poiché i temporali non sono mancati e la siccità quasi non s'è vista. Perché è proprio la secchezza del terreno il nemico principale del «tuber magnatum pico», il fungo ipogeo più pregiato che ha eletto Alba come sua capitale.
Carattere bizzoso e controcorrente, il tartufo bianco vive in un ambiente particolare, cresce all'ombra di querce secolari, si sviluppa tra le radici di salici e pioppi, immerso in un terreno calcareo o argilloso. Ma lo potete scovare anche tra i filari di un vigneto o sotto l'erba di un giardino pubblico, in piena città.La stagione della raccolta è iniziata in tutto il Piemonte il 15 settembre e proseguirà senza sosta fino al 31 gennaio impegnando oltre 6mila trifolao e altrettanti cani. Preferibilmente di notte, lontano da occhi indiscreti.
Gli almanacchi dicono che il 2007 fu un'annata pessima, «l'anno nero del tartufo bianco» con scarsissimi prodotti e prezzi alle stelle, fino a 750 euro l'etto. Poi sono arrivate due stagioni più equilibrate, con un giusto rapporto tra quantità, qualità e prezzi, mai saliti sopra i 400 euro.
Quest'anno le previsioni sono ancora più rosee, con quotazioni che nelle prime contrattazioni di questi giorni si aggirano intorno ai 150-200 euro l'etto. Ma con un tipo permaloso come il tartufo non si può mai sapere. «I prodotti finora estratti sono primizie tutt'altro che affidabili - dicono i trifolao -. Per capire realmente l'andamento della stagione occorre attendere almeno un paio di settimane».
Esattamente quando ad Alba inizierà l'ottantesima edizione della Fiera internazionale del tartufo bianco, con un carosello di eventi che dal 9 ottobre al 14 novembre punta a deliziare non solo il palato: basti pensare alla scelta di un inedito Franco Battiato come pittore del drappo che verrà conteso dai borghi durante il Palio degli asini e alla mostra che la Fondazione Ferrero dedicherà ai paesaggi di Giorgio Morandi.
Ma chi si lascerà guidare dal proprio naso, giungerà inevitabilmente nel Palatartufo allestito nel cuore della città, dove ogni weekend di ottobre e novembre si terrà il Mercato mondiale del tartufo. Ad Alba con il prezioso «diamante grigio» non si scherza: ogni trifola che esce dal mercato passa prima il vaglio di intransigenti «giudici del tartufo» che certificano il prodotto in vendita. A tutela degli acquirenti, una commissione di controllo è sempre presente tra i banchi del mercato e al momento della vendita il tartufo viene pesato su bilance elettroniche e avvolto in sacchetti numerati.
E se in questi giorni è già attivo uno «sportello del consumatore» per controlli e verifiche presso il Centro nazionale studi tartufo, altra garanzia d'unicità del mercato albese è un'ordinanza del sindaco che proibisce la vendita al di fuori dell'area fieristica e dal circuito dei negozi.
Da quest'anno, poi, la trasparenza con il consumatore si allarga anche al ristorante. Per questo è nato il «Truffle Club», il più grande circuito regionale di ristoranti di qualità del tartufo. Chi aderisce, si impegna a rispettare un vero e proprio codice etico. Regole semplici e già ampiamente in uso, come effettuare la «grattata» al tavolo e non in cucina o esporre in modo chiaro il prezzo del tartufo. Ma anche consentire ai clienti di poter consumare sui piatti una trifola non acquistata al ristorante, senza battere ciglio pur pensando al guadagno in più che sfuma con il profumo inebriante del «tuber».
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